Discografia

Torna a casa...

 

 

 

 

 

 

 

 

               titolo.jpg (8003 byte)     

Quasi come Dumas (1988)

 

 

   

 
  1. Due anni dopo
  2. Auschwitz
  3. Ti ricordi quei giorni
  4. L'ubriaco
  5. Giorno d'estate
  6. Primavera di Praga
  7. L'albero ed io
  8. Per quanto è tardi
  9. Dio è morto
  10. Al trist



DUE ANNI DOPO
Visioni e frasi spezzettate si affacciano di nuovo alla mia mente,
l'inverno o il freddo le han portate, o son cattivi sogni solamente.
Mattino verrà e ti porterà le silhouettes consuete di parvenze,
poi ti sveglierai e ricercherai di desideri fragili esistenze.
Lo specchio vede un viso noto ma hai sempre quella solita paura
che un giorno ti rifletta il vuoto oppure che svanisca la figura.
E ancora non sai se vero tu sei, o immagine da specchi raddoppiata.
Nei giorni che avrai però cercherai l'immagine dai sogni seminata.
L'inverno ha steso le sue mani e nelle strade sfugge ciò che sento.
Son trine bianche e nere i rami che cambiano contorno ogni momento.
E ancora non sai come potrai trovare lungo i muri un'esperienza;
sapere vorrai, ma ti troverai due anni dopo al punto di partenza.
E senti ancora quelle voci di mezzi amori e mezze vite accanto;
non sai però se sono vere, o sono dentro all'anima soltanto;
nei sogni che hai, sai che canterai di fiori che galleggiano sull'acqua.
Nei giorni che avrai ti ritroverai due anni dopo sempre quella faccia.

AUSCHWITZ
Son morto con altri cento, son morto ch'ero bambino:
passato per il camino, e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz c'era la neve: il fumo saliva lento
nel freddo giorno d'inverno e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio;
è strano: non riesco ancora a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come può l'uomo uccidere un suo fratello,
eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone, ancora non è contento
di sangue la belva umana, e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sarà che l'uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare, e il vento si poserà.

TI RICORDI QUEI GIORNI
Ti ricordi quei giorni?
Uscimmo dopo le canzoni per camminare piano.
Ti ricordi quei giorni?
Gli amici bevevano vino, qualcuno parlava e rideva, noi quasi lontano,
vicino a te, vicino a me,
e ci parlammo, ognuno per lasciare qualcosa,
per creare qualcosa, per avere qualcosa.
Ti ricordi quei giorni?
I tuoi occhi si incupivano, il tuo viso si arrossava,
e ti stringevi a me nella mia stanza, quasi un respiro,
poi mi dicesti: "Basta, perché non voglio guardarti, perché ho paura ad amarti."
E dicesti, e dicesti, e dicesti...
Le tue parole quasi io non ricordo più, ma nemmeno tu ricordi niente.
Ora dove sei, e che gente vede il tuo viso e ascolta
le tue parole leggere, le tue sciocchezze leggere, le tue lacrime leggere,
come una volta?
Che cosa dici ora quando qualcuno ti abbraccia
e tu nascondi la faccia, e tu alzi fiera la faccia
e guardi diritto in faccia come allora? Qui un poco piove, e un poco il sole;
aspettiamo ogni giorno che questa estate finisca,
che ogni incertezza svanisca...
E tu?
Io non ricordo più che voce hai.
Che cosa fai?
Io non credo davvero che quel tempo ritorni ma ricordo quei giorni...

L'UBRIACO
Appoggiato sulle braccia, dietro al vetro d'un bicchiere,
alza appena un po' la faccia e domanda ancor da bere.
I rumori della strada filtran piano alle pareti,
dorme il gatto sulla panca e lo sporco appanna i vetri.
Cade il vino nel bicchiere poi nessuno più si muove
e non sai se fuori all'aria ci sia il sole oppur se piove.
E quell'uomo si ricorda e per uno scherzo atroce
quasi il vino gli dà forza, l'illusione gli dà voce.
E si alza sulle gambe, sbarra gli occhi e poi traballa,
come con i riflettori sopra al gesto delle braccia.
Ma si ferma all'improvviso e ricade giù a sedere,
torna l'ombra sul suo viso, torna il vino nel bicchiere.
E lontano, oltre, nel tempo, una folla misteriosa
è scattata tutta in piedi, grida: Bravo, bene, ancora!
Son tornati i riflettori sul suo viso e sulle mani,
si alza e accenna ad un inchino per quei pubblici lontani.
E più forte fra quei muri quella voce ora si è alzata
e fa tintinnare i vetri e rimbalza sulla strada.

GIORNO D'ESTATE
Giorno d'estate, giorno fatto di sole,
vuote di gente son le strade in città,
appese in aria e contro i muri parole,
ma chi le ha dette e per che cosa chissà.
I manifesti sono visi di carta che non dicono nulla
e che nessuno più guarda,
colori accesi dentro ai vicoli scuri,
sembrano un urlo quelle carte sui muri,
sembrano un urlo quelle carte sui muri...
Giorno d'estate, giorno fatto di vuoto,
giorno di luce che non si spegnerà;
sembra d' andare in un paese remoto,
chissà se in fondo c'è la felicità.
Un gatto pigro che si stira sul muro,
sola cosa che vive, brilla al sole d'estate;
si alza nell'aria come un suono d'incenso,
l'odore di tiglio delle strade alberate,
l'odore di tiglio delle strade alberate...
Giorno d'estate, giorno fatto di niente,
grappoli d'ozio danzan piano con me,
il sole è un sogno d'oro, ma evanescente,
guardi un istante e non sai quasi se c'è.
Dentro ai canali l'erba grassa si specchia,
cerchi d'ombra e di fumo sono voci lontane;
nell'acqua il sole con un quieto barbaglio
brucia uno stanco gracidare di rane,
brucia uno stanco gracidare di rane...
Giorno d'estate senza un solo pensiero,
giorno in cui credi di non essere vivo,
gioco visivo che non credi sia vero
che può svanire svelto come un sorriso.
Vola veloce ed iridato un uccello
come un raggio di luce da un cristallo distorto:
vola un moscone e scopre dietro a un cancello
la religiosa sonnolenza d' un orto,
la religiosa sonnolenza d' un orto...

PRIMAVERA DI PRAGA
Di antichi fasti la piazza vestita grigia guardava la nuova sua vita:
come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga.
Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita
quando la fiamma violenta ed atroce spezzò gridando ogni suono di voce.
Son come falchi quei carri appostati; corron parole sui visi arrossati,
corre il dolore bruciando ogni strada e lancia grida ogni muro di Praga.
Quando la piazza fermò la sua vita sudava sangue la folla ferita,
quando la fiamma col suo fumo nero lasciò la terra e si alzò verso il cielo,
quando ciascuno ebbe tinta la mano, quando quel fumo si sparse lontano
Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava all'orizzonte del cielo di Praga.
Dimmi chi sono quegli uomini lenti coi pugni stretti e con l'odio fra denti;
dimmi chi sono quegli uomini stanchi di chinar la testa e di tirare avanti;
dimmi chi era che il corpo portava, la città intera che lo accompagnava:
la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga.

L'ALBERO ED IO
Quando il mio ultimo giorno verrà dopo il mio ultimo sguardo sul mondo,
non voglio pietra su questo mio corpo, perchè pesante mi sembrerà.
Cercate un albero giovane e forte, quello sarà il posto mio;
voglio tornare anche dopo la morte sotto quel cielo che chiaman di Dio.
Ed in inverno nel lungo riposo, ancora vivo, alla pianta vicino,
come dormendo, starò fiducioso nel mio risveglio in un qualche mattino.
E a primavera, fra mille richiami, ancora vivi saremo di nuovo
e innalzerò le mie dita di rami verso quel cielo così misterioso.
Ed in estate, se il vento raccoglie l'invito fatto da ogni gemma fiorita,
sventoleremo bandiere di foglie e canteremo canzoni di vita.
E così, assieme, vivremo in eterno qua sulla terra, l'albero e io
sempre svettanti, in estate e in inverno contro quel cielo che dicon di Dio.

PER QUANTO E' TARDI
Quando è tardi e per le strade scivolano sguardi
di gente che ha sol fretta di tornare e i cinema si chiudono ed i caffè si vuotano,
per le strade, assieme al freddo e ai tristi canti opachi,
sono rimasti gli ultimi ubriachi,
un ciondolare stanco verso il nuovo bianco giorno che verrà...
Si discute delle rivoluzioni mai vissute
e degli amori fatti di bevute e di carriere morte nel bicchiere
nelle sere a gambe aperte con il mondo in mano
cantando mentre sputano lontano
come se fosse in faccia all'universo...
E li vedi, girare lenti strascicando i piedi,
parlare forte a tutti od a nessuno
o piangere aggrappati ai muri, stanchi e addormentati.
L'ora vola e il vino amico o ammazza o li consola
e il vino li fa vivere o morire
e la tristezza solita o li uccide o se ne va...
E li vedi, girare lenti strascicando i piedi,
persone strane, sogni a cui non credi,
stagliarsi contro il cielo che si imbianca; nella stanca
mattina che si riempie già di vita,
piangendo un'altra notte che è finita,
attendere, non sai dove, quando il buio tornerà,
attendere, non sai dove, quando il buio tornerà,
attendere, non sai dove, quando il buio tornerà...

DIO E' MORTO
Ho visto
la gente della mia età andare via,
lungo le strade che non portano mai a niente,
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano,
nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate,
dentro alle stanze da pastiglie trasformate,
lungo alle nuvole di fumo del mondo fatto di città,
essere contro od ingoiare la nostra stanca civiltà,
è un Dio che è morto:
ai bordi delle strade Dio è morto,
nelle auto prese a rate Dio è morto,
nei miti dell'estate Dio è morto.
Mi han detto
che questa mia generazione ormai non crede
in ciò che spesso ha mascherato con la fede,
nei miti eterni della Patria o dell'eroe
perché è venuto ormai il momento di negare
tutto cio che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura,
una politica che è solo far carriera,
il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto,
l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto,
è un Dio che è morto:
nei campi di sterminio Dio è morto,
coi miti della razza Dio è morto,
con gli odii di partito Dio è morto.
Ma penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi,
perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge:
in ciò che noi crediamo Dio è risorto,
in ciò che noi vogliamo Dio è risorto,
nel mondo che faremo Dio è risorto!

AL TRIST
A m sun desdé stamatéina l'è primavéra ma al piòv
a m sun desdé stamatéina l'è primavéra ma al piòv,
a n pos purtéret fòra anch sl'lè dmanga
perchè a n gh'ò ménga al vsti nòv,
a n gh'ò ménga al vsti nòv, oh sé...
A gh'era tò péder sù l'òss, a I m'à dmandè quand a té spòs,
ma gh'era tò péder sù l'òss, a I m'à dmandè quand a té spòs
mé, ch'a fagh fadiga a magnér per mé,
péinsa mò béin s'a x'foss in dò,
péinsa mò béin s'a x'foss in dò...
E quand l'é gnuda tò médra a gh'ò dmandé in dòv t'ér té,
Ho dét, quand l'é gnuda tò médra a gh'ò dmandé in dòv t'ér té, oh sé,
la m'ha rispòst ch'tér andéda via
con un ch'al gh'à più sòld che mé,
con un ch'al gh'à più sòld che mé, oh sé...
E mé a sun ché in mez a la stréda séinza savéir csa pòsia I fé
l'é bròtt débòn sté a la dmanga a bsaca vòda e séinza té
e intant a m piòv sòvra a la testa
e a sòn tòt mòi còmm un pulséin,
a sòn tòt mòi còmm un pulséin, oh sé...
A sòn da sòl d'lòngh a la stréda e a zigh dabòun còmm un putéin,
A sòn da sòl d'lòngh a la stréda e a zigh dabòun còmm un putéin,
l'é primavéra ind al lunari,
ma a pér che invéren sia turné
l'é primavéra ind al lunari,
ma a pér che invéren sia turné, oh sé...